Un melograno in memoria dei donatori di organi, tessuti e cellule del Niguarda

Questo autunno, nello storico ‘Ospedale Giardino’ milanese, è stato messo a dimora L’Albero del Donatore. A raccontare e spiegare il profondo senso dell’iniziativa è la dr.ssa Elisabetta Masturzo, Coordinatore Locale del Prelievo.

 

Piantare un albero è stato per noi un modo per ricordare chi non c’è più e nondimeno per rimarcare il significato della rigenerazione come perenne dono del divenire alla vita.

La risonanza che questa immagine suscita invariabilmente è legata all’archetipo dell’albero, elemento costantemente presente nelle tradizioni culturali e spirituali, nei miti e nell’antropologia di tutto il mondo come tramite tra due regni, quello del cielo e della terra e quello dei vivi e dei morti

Ma l’albero è anche l’Axis Mundi – l’Asse del Mondo che unisce il centro alla totalità del cosmo, è il punto di appoggio per eccellenza e, in questo senso, il tempio della meditazione, del percorso evolutivo interiore e dell’accordo del singolo alla totalità.

Abbiamo voluto consacrare un cenotafio vegetale, ispirato al Giardino dei Gusti, e ricreare uno luogo dello spirito e del raccoglimento per tracciare una memoria plurale di coloro che, attraverso la ragione o col cuore, si sono orientati al bene comune donando agli altri e – così facendo – rendendo il consorzio umano più solidale e più rafforzato.

I giusti sono il fondamento e la garanzia del mondo là dove i legami sociali sono più instabili, nonostante l’elevato numero di interconnessioni possibili.  Ci è parso doveroso offrire loro un tributo.

Perché il melograno?

Nell’iconografia il melograno è ripreso da molte culture come quella ebraica, greca, babilonese, induista e cristiana. È un motivo tematico spesso citato nella storia dell’arte e nella poesia.

 

Ci piace qui riportare per tutti due diverse fonti di narrazione, la prima risalente ai banchi di scuola e alla prima poesia imparata a memoria, la seconda più adatta alla maturità e al momento della resa incondizionata al dominio del mutamento ed alle fredde stagioni della vita.

 

 

Pianto antico

L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
Giosuè Carducci

 

Le Metamorfosi

“Rivedrà Proserpina il cielo, a un patto però: che laggiù non abbia portato cibo alla bocca: questo è quanto pattuito con le orride Parche”. Disse; ma se Cerere conta di riavere sua figlia, i fati  non lo consentono, in quanto sua figlia ha rotto il digiuno; girando distrattamente per i giardini, aveva  colto da un ramo spiovente un frutto granata, e sette chicchi, sbucciatili della pellicola trasparente,  se ne era schiacciati in bocca
Ovidio, Libro V (trad. di Vittorio Sermonti)