Tornare in montagna, per chi ha subito trapianti, è possibile e, se affrontata nei giusti termini, anche salutare! Se ne è parlato sabato 27 aprile 2013 a Trento al Convegno organizzato dalla Società Italiana di Medicina di Montagna, in collaborazione con il Trento Film Festival 2013, con la Commissione Centrale Medica del CAI e con l’Ordine dei Medici della Provincia di Trento.

Queste le conclusioni dei luminari relatori del Convegno: per i trapiantati che vogliano riprendere a scalare le vette, come peraltro per chiunque, determinanti sono preparazione fisica e mentale, tecnica, condizioni atmosferiche e guide.

Per i trapiantati di fegato, no problem, come testimoniato dal Past President del CAI Bergamo, trapiantato di fegato alcuni anni fa, che ha presentato la relazione del prof. Jacques Pirenne, assente per motivi familiari, che nel 2003 riuscì a portare cinque dei suoi pazienti trapiantati sulle vette del Kilimangiaro.

Per i trapiantati di cuore, come riportato da Enrico Donegani, Vicepresidente della Commissione Centrale Medica del CAI, il ritorno in montagna è più problematico: va effettutato un accurato programma di training aerobico e di potenziamento muscolare ed occorre sottoporsi ad una visita cardiologica specialistica, controllando la pressione arteriosa, effettuando un’ecocardiografia, un elettrocardiogramma ed un Holter. E’ giusto sottolineare che vi sono ben pochi studi sui trapiantati di cuore che vanno in montagna e che è assolutamente consigliabile non superare i 3000 metri di quota, ma confortanti sono le figure di un alpinista di 36 anni che ha scalato il monte Sajama, di un alpinista di 30 anni che ha scalato il monte Vinson in Antartide e di un altro alpinista che ha scalato il Mera Peak in Nepal.

Per i trapiantati di rene, come riportato dal nefrologo Giuliano Brunori, si sono aperte nuove importanti prospettive anche grazie ai progressi nella farmacologia ed è bene ricordare che l’attività fisica risulta per loro particolarmente importante, basti sapere che nei trapiantati di rene inattivi il rischio di morte è 8 volte superiore rispetto ai trapiantati attivi e che nel tempo la funzione renale aumenta nei trapiantati attivi rispetto a quelli inattivi.

 

Francesca Boldreghini